L’International Swaps and Derivates Association si riunisce oggi per decidere come considerare l’accordo sul debito, raggiunto la scorsa settimana tra il governo di Atene e i suoi creditori dell’Institute of International Finance, avallato dall’Unione Europea, che prevede uno “swap” tra titoli già emessi e bond di nuova emissione, dal rendimento crescente negli anni, di durata media ventennale.
L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha considerato due sere fa questo accordo un credit event e, pertanto, ha declassato i titoli greci a “Selective Default”, ossia a un gradino appena superiore al default vero e proprio. In sostanza, la questione gira tutta intorno a un punto: quanto accaduto ci consente di dire che la Grecia è già in default, seppur controllato, oppure no?
Se l’assemblea degli obbligazionisti dovesse approvare il piano con una maggioranza dei due terzi e non del 95%, allora si sarebbe di fronte a un’adesione non volontaria dell’accordo e questo farebbe scattare la possibilità per quanti possiedano i cds di coprirsi dalle perdite.
I cds (credit default swaps) sono titoli assicurativi, che coprono dal rischio bancarotta di uno stato. Sarebbe di tre miliardi il valore di copertura dal rischio default della Grecia e, pertanto, coloro che posseggono questa assicurazione potrebbero già tra poche ore richiedere il rimborso agli istituti che hanno coperto dal rischio, trovandosi certamente avvantaggiati, rispetto all’ipotesi di accettazione dell’accordo sull'”haircut” del 53,5% del valore nominale dei loro bond.
Da un punto di vista del mercato, se l’Isda dovesse procedere alla dichiarazione formale di default per la Grecia, ci potrebbero essere conseguenze piuttosto negative, perché l’impatto sarebbe forte sui conti di alcuni istituti di credito mondiali, emittenti dei cds.
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