In queste ore, negli uffici di Bruxelles e di Washington, ossia nella capitale dell’Eurozona e nella sede del Fondo Monetario Internazionale, che insieme alla BCE di Francoforte formano la troika dei creditori di Atene, si ridiscute il piano di salvataggio della Grecia, che a luglio era stato varato in nuovi prestiti per 109 miliardi, a cui si sarebbero aggiunti oneri privati per circa 50 miliardi.
Ma l’esecutivo ellenico, retto dal premier socialista George Papandreou, ha evidenziato come tali aiuti sarebbero insufficienti a coprire il fabbisogno finanziario del suo Paese, a causa di sforamenti di bilanci sugli obiettivi fiscali del 2011, a loro volta conseguenza di una recessione ben più dura del previsto, che vede il pil diminuire del 5,5% nel 2011 e dello 0,2% l’anno prossimo.
Pertanto, si ragiona su due ipotesi. Da un lato, si potrebbe battere ancora una volta cassa ai governi dell’Eurozona, chiedendo loro di incrementare il proprio contributo, cosa che sembra ben lontana dal potersi realizzare. Dall’altro lato, invece, l’ipotesi più realistica sarebbe il taglio nominale del valore di rimborso dei bond, attualmente previsto al 79% per i creditori aderenti allo swap, ma che la Germania starebbe spingendo per giungere al 50%.
In poche parole, chi decide di aderire al concambio dei vecchi titoli ellenici con bond nuovi, dovrebbe accollarsi una perdita fino alla metà del loro valore. Altra alternativa consisterebbe nell’allungamento della scadenza dei nuovi titoli ceduti in cambio dei vecchi. Quest’ultima ipotesi potrebbe raccogliere maggiormente il consenso dei creditori, dato che le banche non sembrerebbero avere intenzione di subire ulteriori perdite, con maggiori tagli al valore nominale dei loro titoli. E sono le banche tedesche a spingere per lo più contro una tale idea, che proviene dalla stessa cancelleria di Berlino.