Mentre in questi giorni è stato ufficializzato l’accordo in Telco, che porterà gli spagnoli di Telefonica ad acquisire il controllo di Telecom Italia, salendo fino al 22,4% del suo capitale, la politica potrebbe rispondere con iniziative tese ad impedire che un gruppo straniero possa essere a capo di un asset strategico nazionale come la rete telefonica. Sarebbero due le strade che il governo starebbe vagliando per evitare un tale destino. La prima riguarda la complessa operazione che vede l’intervento della Cdp, la controllata del Tesoro, che potrebbe utilizzare il suo Fondo strategico italiano per rilevare una quota tra il 20 e il 25% della società che sarà a capo della rete, una volta che questa sarà scorporata dalla Telecom spagnola. Fsi acquisirebbe tale quota tramite la controllata Metroweb per circa due miliardi di euro. La rete viene valutata, infatti, tra i 9 e i 15 miliardi.
Un’altra strada parallela che governo e Parlamento potrebbero percorrere (crisi permettendo) sarebbe quella di rivedere la normativa sulle Opa. Ad oggi, la cosiddetta “legge Draghi” del 1998 obbliga i soggetti che salgono fino al 30% del capitale di una società quotata a lanciare un’offerta sulle azioni rimanenti. Si vocifera che l’esecutivo potrebbe abbassare tale soglia, visto che Telefonica raggiungerà il controllo di Telecom con il 22,4%, quindi, senza obbligo di Opa.
Tuttavia, la Consob avverte che cambiare le regole in corso d’opera subito dopo un’operazione di questo genere potrebbe mettere a rischio la reputazione dell’Italia, allontanando potenziali investitori stranieri.
Piaccia o meno, poi, rendere più stringente la normativa sulle scalate comporta anche una maggiore conservazione dello status quo a tutto vantaggio dell’attuale compagine di controllo delle nostre società, a discapito di una contendibilità degli assetti proprietari e dell’efficienza del mercato.