Saipem, controllata da Eni per il 43%, è crollata ieri a Piazza Affari di quasi il 30%, bruciando 2,6 miliardi di capitalizzazione, essendo passato di mano il 6% delle azioni. Il tracollo è stato causato dal secondo profit warning comunicato dalla società lo scorso venerdì, che è arrivato dopo appena 5 mesi da quello di fine gennaio. A causa del deterioramento delle attività commerciali in Algeria e alla forte difficoltà di eseguire due contratti in Messico e Canada, per quest’anno ci si attende un risultato netto negativo per 300-350 milioni, 400 milioni in meno di quanto previsto nella prima guidance. E anche l’Ebit dovrebbe scendere di 650-750 milioni, collocandosi presumibilmente in un margine di 0-100 milioni dai 750 milioni inizialmente stimati.
Soltanto i problemi in Algeria starebbero impattando negativamente sul reddito per 260 milioni, anche se l’ad Umberto Vergine si è detto convinto che le iniziative messe in campo a partire da gennaio per aumentare la redditività dovrebbero consentire a Saipem di tornare all’utile già dal prossimo esercizio.
Gli istituti hanno declassato i conti della società, con Mediobanca che ha tagliato il target price da 23,7 a 17,4 euro e giudizio neutral. Secondo Piazzetta Cuccia, nemmeno questo secondo profit warning avrebbe concluso la possibile discesa in borsa del titolo, in quanto pesa sulla società un debito di 5,2 miliardi a fine anno e di 4,6 miliardi entro il 2014. Tanto che potrebbero essere cedute le attività perforanti.
Morgan Stanley ha tagliato il target price da 27,5 a 20 euro e Credit Suisse da 22 a 16 euro. Exane ha, poi, abbassato la sua raccondazione da neutral a underperform.
La Consob ha acceso i fari per verificare se qualche azionista abbia avuto notizie sui pessimi dati societari prima che fossero ufficialmente comunicati al mercato.