La Fondazione MpS potrebbe scendere anche sotto il 10% dell’istituto, se verrà varato il maxi-aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro chiesto da Bruxelles entro un anno per dare il via libera ai Monti-bond. L’Ente è oggi al 33,5% (era al 54% fino a due anni fa), ma ha un debito di 350 milioni di euro, contratto per partecipare ai due aumenti di capitale degli ultimi anni. Poiché su tale debiti paga 20 milioni di euro all’anno di interessi, ma non dispone di alcuna entrata, vista l’assenza di dividendi della controllata, Palazzo Sansedoni sarà costretto presto a cedere buona parte della quota in suo possesso e ai prezzi attuali di borsa, 350 milioni sarebbero ottenuti scendendo intorno al 20%. Non potendo, poi, partecipare all’aumento per mancanza di risorse, la Fondazione potrebbe diluirsi anche sotto il 10%, visto che la ricapitalizzazione sarebbe di entità uguale alla capitalizzazione in borsa di MpS.
Insomma, tra maxi-aumento ed esigenza di cedere quote per risanare i debiti, l’Ente potrebbe essere ridimensionato ad azionista secondario, specie se nel frattempo sarà entrato un qualche socio forte. Non è un caso che il sindaco Bruno Valentini chieda un azionariato “diffuso”, teso a non scardinare i rapporti di forza tra i soci e a mantenere il controllo in capo alla Fondazione.
Difficile, tuttavia, che MpS abbia la capacità di trovare capitali per un ammontare così alto. Essi serviranno, stando alla UE, a rimborsare i Monti-bond già dal 2014. Se ciò non avvenisse, lo spettro della nazionalizzazione si farebbe concreto, con il Tesoro ad entrare nel capitale di MpS, potenzialmente da azionista di controllo.