Fortissime le critiche e le pressioni del mondo politico, sindacale e imprenditoriale sulla dirigenza Fiat, dopo che il suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha annunciato il congelamento del piano Fabbrica Italia, che prevedeva 20 miliardi di investimenti in Italia. Per il manager italo-canadese, non ci sarebbero più le condizioni di mercato per potere attuare il piano, a causa della crisi.
Dura la presa di posizione dell’imprenditore Diego Della Valle, che parla di “scelte sbagliate” di Marchionne e del maggiore azionista, Elkann, i quali non si curerebbero affatto degli interessi del Paese, nonostante questi abbiano dato a Fiat fin troppo.
L’ex ad, Cesare Romiti, parla di mancanza di progettualità, riferendosi all’assenza di nuovi modelli, in grado di rilanciare la domanda.
Dal mondo politico, governo compreso, si guarda con forte perplessità all’annuncio di Marchionne, anche da parte di quanti lo avevano sostenuto nella dura battaglia contro Fiom e la stessa Confindustria, al fine di agevolare le condizioni del lavoro, rendendole compatibili con un assetto più produttivo.
Sul piede di guerra i sindacati, con Uil e Cisl che chiedono all’ad di non ridurre la capacità produttiva o il numero degli stabilimenti, per quanto Rocco Palombella (Uilm), riconosca che 400 mila auto possano essere prodotte in teoria anche in un unico stabilimento.
Fabbrica Italia prevedeva 93 miliardi di euro di ricavi nel 2014, attraverso la vendita di 6 milioni di auto nel mondo, di cui 1,4 milioni in Italia. A tale fine, si sarebbero resi necessari 30 miliardi di investimenti, di cui 20 in Italia. Oggi, siamo a meno della metà di auto vendute nel nostro Paese, mentre sembrano in agghiaccio i 34 modelli nuovi promessi e i 17 restyling di quelli vecchi.
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