Continua il disastro di Facebook al Nasdaq di New York. Da quando il popolare social network è stato quotato in borsa lo scorso 18 maggio, il titolo è sprofondato di quasi il 60%, mostrando una sfiducia costante degli investitori verso il business poco convincente della società. E così, ieri si è toccato un nuovo minimo storico, vicino ai 17 dollari. In termini di capitalizzazione, si sono persi oltre 50 miliardi di dollari in poco più di tre mesi. Peggio di Lehman Brothers nell’anno precedente il suo rovinosissimo crac.
Il target price di medio termine è stato tagliato sia da Morgan Stanley che da JP Morgan Chase, rispettivamente del 16% e del 13%. Tuttavia, le previsioni restano ancora fin troppo ottimistiche anche per le due banche, che pronosticano un titolo a 32 e 30 dollari entro la fine del 2013. Livelli quasi doppi a quelli mostrati in borsa in queste ore.
La stampa finanziaria individua nel CFO, David Ebersman, il principale responsabile del disastro. Prima dell’Ipo, era stato annunciato a maggio un prezzo di sbarco tra 29 e 34 dollari, poi innalzato con il consenso dello stesso direttore finanziario a 33-38 dollari.
E pensare che JP Morgan voleva che fosse ancor più alzato, mentre solo Goldman Sachs nutriva qualche dubbio, pur senza opporsi alla scelta fallimentare.
Tra i motivi dello scetticismo degli investitori vi sono un rapporto troppo alto tra valore di capitalizzazione e fatturato/utili di esercizio; un modello poco chiaro di business e una prospettiva non esaltante sia sul fronte della crescita dell’utenza, sia anche in relazione alle entrate pubblicitarie e dai giochi online (vedi crisi Zynga).
E il peggio potrebbe ancora venire, quando a novembre scadrà il lock-up per 1,2 miliardi di titoli, ossia il divieto di vendita delle azioni in possesso degli investitori. Un’ondata di vendite potrebbe, quindi, colpire il titolo, sebbene qualcuno ipotizzi che il crollo di queste settimane possa essere una sorta di sconto sui mercati di quanto previsto nei prossimi mesi.