Ancora una volta il dibattito sulla previdenze e sulle pensioni infiamma la scena politica italiana, dato che alcune recenti dichiarazioni in merito del ministro competente, Maurizio Sacconi, hanno trovato una secca e contraria risposta da parte dei sindacati e delle parti sociali, che rifiutano qualsiasi idea di modifica all’attuale sistema. Le parole che hanno dato il via al dibattito sono state: «Le parti sociali dovrebbero parlare tra loro di lavoro e pensioni, dovrebbero trovare un punto di incontro, un avviso comune sulla transizione del sistema previdenziale».
La risposta della Cgil non si è fatta attendere «Sacconi non è credibile, già con le misure approvate le donne nel 2031 si ritroveranno ad andare in pensione con 68 anni e due mesi», mentre le alte sigle sindacali sono più possibiliste, ma evidenziano come in un eventuale trattativa dovrebbe essere il governo a coordinare gli sforzi e non lasciare la patata bollente alle parti sociali.
Sulla stessa linea d’onda il presidente di Bnl Abete, che dichiara, con molta chiarezza: «Il ministro Sacconi ha la capacità di complicare le cose semplici. Sacconi chiede un avviso comune delle parti sociali. Ma come si può pensare che i sindacati possano firmare? È compito del Governo, se ha la capacità prenda una decisione».
Il ministro Sacconi tenta quindi di aggiustare il tiro: «obiettivamente c’è un problema intergenerazionale, bisogna riprodurre un riequilibrio tra generazioni a favore dei giovani, altrimenti pagheranno il prezzo degli errori dei loro padri e dei cambiamenti in atto nel mondo», ma ancora una volta nessuno sembra appoggiarlo.
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