Mentre è quasi in dirittura di arrivo il decreto sulla revisione della spesa pubblica, meglio noto come “spending review”, le ipotesi sulle voci da tagliare hanno riacceso lo scontro tra il governo e i sindacati. In particolare, si litiga sui tagli annunciati al settore del pubblico impiego. Stando alle indiscrezioni, Monti e i suoi ministri vorrebbero ridurre del 20% i dirigenti pubblici e del 10% i dipendenti dei dicasteri.
Cgil, Cisl e Uil si sono mostrati compatti nel respingere tali misure, con Susanna Camusso (Cgil), che arriva a proporre l’introduzione di una imposta patrimoniale, come alternativa ai tagli nella Pubblica Amministrazione.
Ma non si discute solo di impiegati pubblici. Si pensa anche a tagliare sacche di sprechi e uffici superflui sul territorio, come 33 Procure non provinciali, 220 sezioni distaccate, 37 tribunali minori. In più, la sanità dovrebbe fornire altri 3,5 miliardi, da reperire sempre con cura alle voci di spreco reale.
Obiettivo minimo è di arrivare a racimolare almeno 4,2 miliardi, necessari a evitare l’aumento in autunno delle aliquote IVA al 23% e 12%. Ma il governo ha reso chiaro che i soldi che servono sono di più, perché bisogna affrontare le spese per il terremoto in Emilia e si dovranno coprire gli assegni per i cosiddetti “esodati”, ossia quei lavoratori che hanno rinunciato lo scorso anno al posto di lavoro, incoraggiati dallo stesso governo ad andare in pensione, salvo ritrovarsi nel guado, per via dell’inasprimento delle misure previste dalla nuova riforma delle pensioni del governo tecnico.