Dopo lo Tsunami in Giappone, il nucleare in Italia viene messo in moratoria, ovvero si proroga la relativa scadenza visto ciò che è successo con il nucleare, come caso eccezionale.
Torna nel cassetto anche il piano energetico nazionale, vanno rivisti gli equilibri tra le fonti rinnovabili, la ricerca sul nucleare e opportunità offerte dai gasdotti in costruzione. Il governo ha tenuto a battesimo l’Agenzia per la sicurezza nucleare, il presupposto tecnico. Non a caso alla guida dell’organismo è stato scelto, da poco, il popolare oncologo Umberto Veronesi,costetto ad aggirarsi in una sede inesistente, tra uffici che non ci sono e personale è da reclutare.
Varato anche se in ritardo nel marzo dello scorso anno, il decreto legislativo su criteri per scegliere i siti delle centrali e per compensare la gente lì intorno è stato contestato dagli enti locali. È strato bocciato dalla Corte Costituzionale proprio perché non garantiva i requisiti minimi del confronto con le regioni, ma riproposto nei giorni scorsi con qualche correzione formale ed ora, caduto nel limbo della moratoria. Ma a mostrarci quanto sia agevole e insieme insidiosa questa moratoria è l’oscuro destino del vero provvedimento cruciale: il documento programmatico sulla strategia nucleare.
Questo documento prometteva in realtà di essere lo snodo del piano energetico nazionale: il nucleare doveva rappresentare un importante tassello in un minuzioso percorso che doveva disegnare il nostro scenario energetico da qui a venti o trent’anni riempiendo di contenuti l’obiettivo ideale del 25-25-25. Ma ieri il governo ha fatto cadere nella moratoria anche il documento programmatico sulla strategia nucleare. Traduzione: tra un ripensamento, ed un ritardo, a guadagnarci è proprio il nuovo piano energetico nazionale, da tempo atteso a prescindere dalle scelte nucleari.
L’interscambio di energia, come già quello delle materie prime, quelle petrolifere in testa, sta diventando cosa assolutamente sovranazionale, sempre più europea. Tre sono i grandi filoni energetici che la moratoria alimenterà nei prossimi anni: l’industria delle rinnovabili, l’uso “ad interim” del già straripante gas metano e lo stesso nucleare, inteso come perfezionamento del nucleare attuale, magari proiettato verso un affinamento della sicurezza dei reattori come quelli che noi volevamo usare, il francese EPR frutto della joint che non si sa che fine farà tra Enel o EDF, o l’americano AP1000, o direttamente verso la quarta generazione. Sulle rinnovabili forse sarebbe il caso, di privilegiare ciò che finora è mancato davvero: la creazione di una filiera industriale degli apparati, che finora abbiamo largamente comprato dalla Cina o dalla più vicina Germania. La ricerca sul nucleare? Qualche interrogativo sul ruolo del depauperatissimo Enea sarebbe d’obbligo.
Sul gas metano si profila uno scenario assai favorevole. Sta per entrare in funzione il nuovo mega-gasdotto Galsi dall’Algeria. Lambiranno l’Italia i nuovi gasdotti che si contendono le nuove vie dall’Oriente all’Europa (South Stream, Nabucco), mentre la momentanea interruzione del flusso di metano dalla Libia non ci sta procurando troppi problemi. Una domanda sorge: perché non dare retta a un uomo capace come Alessandro Ortis, l’ex presidente dell’Authority per l’energia e fare nel nostro paese un grande e sicuramente profittevole hub del gas per tutta l’Europa, che con la crisi del nucleare chiederà sicuramente quote aggiuntive di metano? Un quesito, tra i tanti, ai quali il nostro governo potrebbe rispondere quanto prima.
Fonte Il Sole 24 Ore
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