La Rai potrebbe essere privatizzata. E’ una delle opzioni al vaglio del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, il quale non esclude la trasformazione di questo carrozzone pubblico in una public company, ossia in una società quotata in borsa e ad azionariato diffuso. Per la verità, anche la legge Gasparri del lontano 2004 prevedeva già questa scelta per la Rai, ma è rimasta lettera morta. E allora, dopo anni che se ne parla, pare che almeno la discussione sarà affrontata seriamente stavolta, anche perché nel mirino del governo ci sono diverse cessioni, tra cui anche del 4% del Tesoro in Eni. Tra le altre ipotesi, si parla di mettere in gara il servizio pubblico, così come di creare una fondazione per la gestione della Rai.
Ma quest’ultimo espediente, collaudato in oltre venti anni di gestione per le banche, non pare abbia cacciato la politica dalla gestione di asset prima pubblici, né apportato granché di miglioramenti in termini di efficienza. E anche la messa in gara del servizio pubblico, attraverso probabilmente un’asta periodica, implicherebbe nei fatti la necessità di privatizzare la Rai, facendola diventare una company al pari delle altri concorrenti.
La privatizzazione è ben lungi dall’essere attuata. Immediato è arrivato lo stop di Usigrai, il sindacato dei giornalisti, così come anche Raffaele Bonanni, Cisl, si è detto contrario a mettere sul mercato un’azienda di questo tipo. Nel 2012, la Rai ha chiuso con un fatturato di 2,8 miliardi, ma anche con un debito di 366 milioni e 13 mila dipendenti. Mediobanca stima in 2,47 miliardi il valore delle reti Rai. Non proprio noccioline, ma nemmeno così tanto.