In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, istituita dall’ONU e celebrata ogni 22 marzo, l’Istat ha pubblicato un quadro di sintesi su questa fondamentale risorsa attraverso statistiche sul ciclo idrologico, sull’uso delle acque urbane e su alcuni fattori climatici. I dati diffusi provengono da indagini condotte dall’Istat negli ultimi anni, tra le quali la “Rilevazione sui servizi idrici”, gli “Aspetti della vita quotidiana”, i “Consumi delle famiglie” e la “Rilevazione sui dati meteoclimatici e idrologici”.
L’Istat ha pubblicato una sintesi della gestione e del consumo di acqua in Italia. Il quadro tracciato è abbastanza inquietante. I dati diffusi dall’Istat sul consumo idrico in Italia dipingono un ritratto delle insane abitudini degli italiani, che sprecano l’acqua come se fosse inesauribile, cui si affiancano le pessime condizioni in cui versa la rete di distribuzione. Incredibilmente in Italia prima di arrivare nelle case viene disperso fino al 47% dell’acqua potabile immesso nel servizio di distribuzione.
Il primo dato che salta all’occhio è che l’Italia continua ad essere uno dei Paesi in cui si acquista la maggior quantità di acqua minerale. Sembra proprio che famiglie italiane non si fidino dell’acqua che sgorga dai loro rubinetti. In alcune zone del Paese, nell’acqua continua ad esserci arsenico in percentuali eccessive per il consumo umano. Nella maggior parte dei casi, però, gli italiani sembrano essere semplicemente vittime della martellante campagna pubblicitaria di quello che è, incredibile ma vero, la principale fonte di guadagno del settore alimentare nostrano.
L’Unione Europea ha infatti preso di mira 128 comuni italiani le cui acque pubbliche contengono una quantità di arsenico superiore ai limiti di legge. Tale quantità è attualmente limitata a 10 microgrammi per litro; il Governo italiano ha chiesto una deroga per poter arrivare a 50 microgrammi, mentre le istituzioni europee sono disposte a concederne al massimo 20 microgrammi per litro. Così, la Commissione Europea ha emanato il testo di una decisione in cui impone il rientro nei parametri stabiliti, pena un procedimento presso la Corte di Giustizia europea che porterà al blocco dell’acqua potabile. La Commissione Europea si oppone a qualsiasi deroga all’innalzamento dei limiti chiesti dall’Italia (il 2 febbraio 2010 l’Italia ha chiesto una deroga riguardante i parametri di arsenico sostenendo che i quantitativi fuori norma sono tali per cause naturali e che la fornitura di acqua non può essere garantita con mezzi alternativi) sulla concentrazione di arsenico nelle acque a uso alimentare. Secondo l’UE cifre superiori ai 10 microgrammi di arsenico per litro possono determinare rischi per la salute dei cittadini, sino all’insorgenza del cancro. Il provvedimento della Commissione Europea potrebbe costituire un serio problema per molte amministrazioni italiane: i sindaci di 128 comuni potrebbero infatti trovarsi costretti a vietare di bere l’acqua dal momento che negli acquedotti c’è una concentrazione elevata di arsenico. In cima alla lista delle regioni interessate si colloca il Lazio, seguito da Toscana, Trentino, Lombardia e Umbria, che si spera adottino immediate contromisure per rispettare le disposizioni Ue e, soprattutto, a far sì che non siano più necessarie le deroghe alla normativa. Nel frattempo ci mitridizzeremo con l’acqua all’arsenico!
Ciò che colpisce maggiormente fra i dati Istat, sono i dati relativi agli sprechi, ma non unicamente gli sprechi di coloro che lasciano il rubinetto aperto mentre lavano qualcosa, o mentre stanno facendo tutt’altro. Lo spreco più vergognoso è quello dovuto alle continue perdite rilevate a livello nazionale: fino al 47% nell’unico anno di rilevazione, quello del 2008. Forse tale indice di perdita degli acquedotti non è quello degli acquedotti “nonni”, quelli degli antichi romani, ma sembra tristemente ricordarlo.
Come mai c’è un tale indice di spreco dell’acqua? L’acqua potabile immessa nella rete di distribuzione viene dispersa a causa del pessimo stato in cui versano le condutture. Un fenomeno molto grave ed eccessivamente diffuso che, nonostante l’avvenuta privatizzazione di buona parte della rete idrica italiana ed il conseguente aumento delle tariffe, si è ulteriormente aggravato. E nessuno sembra preoccuparsene più di tanto.
In Italia siamo abituati troppo bene (o forse troppo male?): acqua potabile disponibile ogni volta che si vuole (per preferire poi quella messa in bottiglie di plastica!), dai nostri rubinetti alle fontanelle che zampillano nelle nostre città giorno e notte. Una pacchia che in pochi immaginano possa finire. Del resto, fino ad una eventuale privatizzazione di tutti i servizi idrici, il prezzo rimane nella maggior parte dei casi abbastanza esiguo. Pochi soldi per un bene dal valore inestimabile. L’acqua ha visto crescere le sue tariffe nell’ultimo triennio mediamente del 10% e si prevede continueranno a crescere almeno per il prossimo decennio, anche perchè sta diventando una risorsa sempre più difficilmente approvvigionabile. Ma l’acqua, sprecata in modo indecente sia a causa dei nostri stili di vita che di una rete di distribuzione ridotta ad un colabrodo, potrebbe non essere più così abbondante, in futuro. Come finiremo? Come nella stazione spaziale o a Singapore, dove vengono riciclate le acque di scarico, incluse quelle dei gabinetti, trasformandole in acqua potabile? Lo spreco di una risorsa così importante per la sussistenza delle nostra stessa vita, chi lo paga?
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