La crisi greca si allarga e contagia, anzitutto, Cipro, isola vicina geograficamente e per metà almeno di origine e cultura elleniche. Sia il governatore della banca centrale di Nicosia, Panicos Demetriades, che il presidente Demetris Christofias hanno annunciato di non escludere la possibilità di chiedere aiuti internazionali, per fare fronte al problema serio della ricapitalizzazione delle banche del Paese.
In particolare, preoccupa la situazione di Cyprus Popolar Bank, il secondo istituto cipriota e che necessiterebbe 1,8 miliardi di euro, per ricapitalizzarsi dopo lo swap dei bond ellenici in suo possesso, che ha portato a una perdita di valore del 74%.
Tuttavia, il debito pubblico di Cipro, pari al 71,6% del pil, non sembra essere di proporzioni tali da mettere a rischio la tenuta finanziaria del Paese e dell’Eurozona. In realtà, il vero problema è il forte aumento dell’indebitamento privato, nonché l’alta esposizione della sua economia al sistema bancario ed economico greco.
Si pensi, ad esempio, che nel 2011 le sue esportazioni verso la Grecia contavano il 5% del pil, mentre allo stesso tempo le banche cipriote risulta esposto alla Grecia per 25 miliardi, specie per via degli impieghi.
Una scarsa competitività dell’isola ha portato nel triennio 2008-2010 a una crescita imponente della sua posizione finanziaria netta verso l’estero e pari al 66%. E l’economia isolana è in recessione da un anno, con il pil in calo dell’1,4%.
Il pil cipriota è di appena 17,76 miliardi. Non sarebbe teoricamente in grado di impensierire nessuno, anche in caso di reale tracollo finanziario. Certo, non è un segnale che va nella giusta direzione e a tal proposito ricordiamo che pure Atene, con un pil nemmeno 15 volte maggiore quello di Cipro sta mandando a gambe per aria la moneta unica.
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