Brutti dati economici giungono da Nuova Dehli. Nel primo trimestre del 2012, la crescita è stata di appena il 5,3%, molto al di sotto della soglia psicologica del 6% e inferiore alla stima di un +6,1%. E anche la crescita dell’intero anno fiscale 2011/2012, che si è chiuso il 31 marzo è inferiore alle attese: +6,5%, contro il molto più robusto +9,2% dell’esercizio precedente e dato minimo dall’anno 2002/2003, quando la crescita si fermò al 4%.
Preoccupa, particolarmente, il trend del settore manifatturiero, che nel primo trimestre del 2012 (ultimo trimestre fiscale) ha segnato una contrazione su base annua dello 0,3%, mentre il settore agricolo ha mostrato una crescita annua dell’1,7%.
E certamente il governo non potrà fare affidamento alla leva monetaria per fare risalire l’economia, se è vero che ad aprile l’inflazione ha rialzato la testa, arrivando a un tasso del 7,23%, proprio mentre la banca centrale aveva per la prima volta dal 2009 abbassato i tassi dall’8,5% all’8%.
E se l’economia corre meno del previsto, la valuta indiana, la rupia, si è deprezzata negli ultimi mesi del 25% contro il dollaro, tanto che il governatore centrale Duvvuri Singh ha promesso che saranno introdotte tutte le misure necessarie ad evitare che tale deprezzamento continui, perché ciò rischia di alimentare ancora di più l’inflazione e di abbassare il ritmo delle importazioni.
Molti analisti ritengono che la frenata del pil indiano non sia dovuta alla congiuntura sfavorevole di USA ed Eurozona, quanto soprattutto la paralisi politica che sta bloccando i processi decisionali al Congresso di Nuova Dehli, dove l’Alleanza progressista non sembra in grado di approvare nulla.
Una crescita del 5,3% potrebbe sembrare invidiabile per noi europei, eppure una discesa del tasso di aumento del pil comporta qui come conseguenza l’impossibilità per milioni di persone di uscire dalla miseria.
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