L’imposta di bollo cresce ancora sui conti deposito (quelli vincolati) e su tutte le forme di investimento, ad eccezione dei conti correnti, dei fondi sanitari, dei fondi pensione e delle polizze vita. L’aliquota sale dall’1,5 per mille del 2013, già aumentata dall’1,2 per mille del 2012, al 2 per mille dall’1 gennaio del 2014. In cambio, è stata eliminata l’imposta minima di 34,20 euro prevista ad oggi, ma è stata più che raddoppiata anche l’imposta massima da pagare, che passa dai 4.500 euro ai 10 mila euro.
In pratica, guadagnare da questa riforma delle aliquote dell’imposta di bolla sul risparmio investito saranno i titolari di conti al di sotto dei 17.100 euro, perché fino a questa cifra si pagherà certamente di meno dei 34,20 euro dovuti ancora fino al 31 dicembre di quest’anno. Da questa cifra in poi, però, la stangata arriva per tutti.
In particolare, l’aggravio sarà per i titolari più fortunati. Se prima si pagava un’imposta sui conti fino ai 3 milioni di euro, restando fissa per gli importi superiori, ora l’imposta graverà sui conti fino a 5 milioni di euro e rimarrà fissa solo dopo tale soglia.
Dal mondo della finanza, le reazioni sono state fredde. Da un lato si apprezza l’ipotesi di sgravare i piccoli investimenti da un’imposta fissa assurda e molto gravosa per i piccoli conti (pesa per oltre il 3% su mille euro); dall’altro, la maggiore equità comporta anche un maggiore onere un pò per tutti, tranne che per i piccoli risparmiatori, mentre l’aliquota potrebbe essere abbassata, se si allargasse la base imponibile, ad esempio, assoggettando all’imposta di bollo anche i conti correnti o postali, oggi esclusi da questa tassazione.