La Grecia potrebbe davvero uscire dall’euro. Ieri, l’agenzia di rating Fitch ha definito “gestibile” un addio controllato all’Eurozona, mentre la Germania ribadisce che se Atene non si atterrà ai patti assunti nei mesi scorsi, l’opzione dell’abbandono della moneta unica dovrà essere vagliata.
Tuttavia, il colosso bancario elvetico Ubs ha fatto i conti di quanto verrebbe a costare una situazione del genere e le cifre emerse sono spaventose. Se la Grecia tornasse alla dracma, si calcola in non meno di 9.500-11.500 euro per cittadino il costo medio dell’abbandono, per almeno un decennio. Le stesse cifre riguarderebbero l’Italia.
La ragione è semplice. Uscendo dall’euro, la dracma (ma anche la lira!) si svaluterebbe contro la moneta unica, valuta in cui è stato emesso il debito fino ad oggi. Questo porterebbe il valore pro-capite del debito ad esplodere nello stato coinvolto, mentre l’inflazione galopperebbe, per effetto del maggiore costo di importazione di beni e servizi. Certo, nel caso italiano, si rileva come le esportazioni ne possano beneficiare, ma gli altri stati potrebbero elevare barriere doganali, al fine di evitare di soccombere.
Il tutto sarebbe condito da default aziendali e bancari, nonché da interessi in crescita sul debito pubblico fino anche oltre il 10%. Ubs non esclude poi nemmeno la possibilità che possano scoppiare rivolte e situazioni di guerra civile. Nel caso italiano, ad esempio, la lira si dovrebbe svalutare del 50%, cioè dall’attuale cambio fisso di fine 1998, pari a 1.936,27 lire per un euro, si passerebbe a circa 3.000 lire per euro (valore di cambio simile per lira/dollaro). Un’economia importatrice come la nostra cadrebbe ancora di più nel baratro, con la benzina a 6 mila lire al litro!