Si riaccende il dibattito sulla rivalutazione delle quote in Bankitalia, ferme al valore di 156.000 euro del 1936. Il governo pensa da tempo di adeguare il valore del capitale ai dati odierni, ma non c’è un’intesa pacifica su quanto dovrebbe valere Bankitalia. Secondo i tecnici incaricati dal Tesoro, oggi Via Nazionale dovrebbe valere tra i 7 e i 7,5 miliardi di euro. La questione è essenziale per diverse ragioni. Anzitutto, Bankitalia risulta nelle mani di alcune banche private per il 95% delle sue 300 mila quote da 0,52 euro ciascuna. Se lo statuto fosse aggiornato al valore indicato dal Tesoro, le banche, che ad oggi hanno iscritte le quote a bilancio per complessivo un miliardo di euro, otterrebbero una rivalutazione che le ripatrimonializzerebbe, cosa che consentirebbe loro di superare con maggiore facilità gli stress-test della BCE.
In più, sulla rivalutazione delle quote in Bankitalia lo stato applicherebbe un’aliquota del 16% o forse anche maggiore, incassando una tantum 1-1,5 miliardi di euro, necessari per coprire il mancato gettito per l’abrogazione della seconda rata dell’IMU di dicembre. Ma per incassare entro la fine dell’anno, bisognerebbe fare presto e costringere legalmente le banche ad effettuare entro il 2013 la rivalutazione.
Tuttavia, le conseguenze di tale misura sarebbero duplici. Da un lato, lo stato incasserebbe intorno al miliardo di euro già quest’anno, ma Bankitalia dovrebbe staccare ogni anno un dividendo per le banche-azioniste ben più alto dei 45 milioni del 2012 su oltre 2 miliardi di utili. Infatti, il dividendo è calcolato sul valore nominale delle quote e sulle riserve. Le banche incasserebbero così almeno qualche miliardo di utili all’anno, di fatto facendo svanire in un biennio il beneficio ottenuto dallo stato con l’introito una tantum.