Il consiglio di amministrazione di MpS ha approvato il “Business Plan 2013-2017”, indicando gli obiettivi che la banca dovrà raggiungere entro il 2017. Anzitutto, le filiali scenderanno da 2.750 a 2.200, mentre il numero dei dipendenti, che alla fine del 2011 era di 31 mila unità, dovrà scendere a 23 mila, come già concordato con Bruxelles. Da ciò deriva che il fatturato per lavoratore dovrebbe crescere da 165 a 225 mila euro, mentre il rapporto cost/income dovrebbe scendere dal 66% al 50%. I clienti digitali dovranno aumentare al 10% dall’attuale 1%, mentre l’obiettivo dell’utile è di 900 milioni al 2017. Per fare questo, il portafoglio degli impieghi muterà drasticamente, tanto che i titoli di stato in pancia all’istituto dovrebbero essere portati da un valore attuale di 23 miliardi a uno di 17 miliardi. Entro il 2017, poi, dovranno essere ripagati tutti i Monti-bond, che oggi ammontano a 4,07 miliardi, ma che dopo l’aumento di inizio 2013 dovrebbero già essere decurtati dei tre quarti.
Il capitale di MpS dovrebbe migliorare da un punto di vista qualitativo e aumentare quantitativamente, grazie alla ricapitalizzazione di 3 miliardi, che dovrebbe avvenire entro il primo trimestre del 2014. L’obiettivo del management è di rendere MpS una banca leader nella raccolta commerciale, puntando a un tasso di impieghi del 90% dei depositi totali.
E l’ad Fabrizio Viola cerca di smorzare la forte polemica tra i dirigenti di MpS e il socio di controllo, la Fondazione, destinata a scendere dall’attuale 33,4% fino a un potenziale 7-8%, tra cessione di un pacchetto azionario per il pagamento dei debiti di 350 milioni e l’effetto diluitivo dell’aumento.
Viola ha auspicato che l’azionista di riferimento storico possa rimanere tale anche post-aumento in MpS, ma è evidente che ciò non sarà così. Il guaio è che l’Ente potrebbe votare contro la maxi-ricapitalizzazione nell’assemblea dei soci di fine dicembre, di fatto mettendo a rischio il rilancio della banca.