Nel fine settimana, è stato raggiunto l’accordo tra il governo di Parigi e quello di Bruxelles, per salvare la banca franco-belga Dexia, alle prese con una disastrosa situazione di illiquidità e un’esposizione gigantesca verso i bond ellenici.
E pensare che gli stress-test di luglio da parte dell’Eba erano stati superati agevolmente dall’istituto. E, invece, a qualche settimana di distanza dall’esame, Dexia si è ritrovata senza liquidità e con perdite da svalutazioni per 378 milioni di euro, in seguito all'”haircut” del 21% del valore nominale sui suoi 1,8 miliardi di bond greci ancora in portafoglio e con scadenza prima del 2020.
E le esposizioni al rischio ammontano a 700 milioni, mentre nel caso si attuasse la versione più austera dell’haircut, la banca potrebbe subire ulteriori svalutazioni pre-tasse fino a 720 milioni di euro.
Un disastro, a cui i governi francese e belga stanno tentando di porre rimedio, attraverso azioni congiunte, a soli tre anni di distanza dal primo salvataggio da 3 miliardi con fondi pubblici. In sostanza, la banca sarà smembrata, con ciò che resterà di Dexia che sarà nazionalizzato, per complessivo esborso per 8 miliardi di euro, da suddividersi equamente tra Francia e Belgio.
Solo in una seconda fase vi sarebbe un aumento di capitale, in modo tale da non affievolire eccessivamente il ruolo delle regioni belghe. Poi, l’attivo sarebbe ceduto per una cifra intorno ai 700 milioni, per la parte riguardante i finanziamenti agli enti locali francesi, a una società mista, formata da Caisse des Depots e Banque Postale.
Terzo passo, invece, sarebbe la vendita sul mercato delle controllate, tra cui l’italiana Crediop, che dovrebbe riscontrare una buona domanda, data la loro situazione positiva dei conti.
Infine, la svuotata Dexia sarebbe trasfrormata in una “bad bank”, con titoli in portafoglio per 100 miliardi e garanzie per 90 miliardi, a carico della Francia per il 60%, del Belgio per il 36,5% e del Lussemburgo per il restante 3,5%.
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