Il Rapporto annuale sulla competitività della UE ha esitato un risultato impietoso: l’Italia è all’ultimo posto della classifica degli stati “business friendly”. Cosa significa? “Business friendly” è un’espressione inglese, che letteralmente può essere tradotta con “amichevole negli affari”.
In termini concreti, un’economia “business friendly” significa che è in grado di attirare imprese e che ha leggi favorevoli al mondo dell’impresa e degli affari in generale.
L’Italia, per la classifica UE, avrebbe, al contrario, la legislazione più ostile al mondo delle imprese, persino peggio di quelle di stati come la Grecia e il Portogallo. Per non parlare del contesto degli stati nordici, come Danimarca e Finlandia, ma anche le stesse Germania e Francia.
Insomma, saremmo l’economia più contraria al mondo degli affari e questo spiegherebbe, secondo il Rapporto, la bassissima capacità dell’Italia di attirare investimenti e di crescita del proprio tessuto imprenditoriale. Bocciate senza appello le legislazioni farraginose, complesse e soffocanti del Belpaese.
Si riconoscono alcuni passi in avanti in Italia e Spagna da parte del mondo dell’impresa, che si sarebbe attrezzato nel senso di una riqualificazione a più alto livello nella produzione dei beni. Ma restano tutti i nodi storici per le imprese nostrane, quali le piccole dimensioni, la difficoltà a innovarsi, a fare ricerca, etc.
Cosa dire, quindi, del fatto che soltanto pochi mesi fa, agli inizi dell’anno, il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, approvava un decreto legge, per impedire la scalata a Parmalat da parte dei francesi di Lactalis? Il mercato del latte fu allora definito strategico ai fini dell’economia nazionale. Ennesima dimostrazione di una legislazione concepita per bloccare il libero mercato, anzichè, per accrescerlo.
Si dirà che anche all’estero ci sarebbero regole restrittive all’ingresso di capitali stranieri. Ma i dati parlano chiaro. E hanno la testa dura.
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