La riforma del lavoro ci sarà, ma la Cgil molto probabilmente sceglierà di non dare il suo placet. E’ quanto è emerso ieri dalla conferenza stampa seguita all’incontro tra governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. Tutti hanno dato parere positivo, ha affermato il premier Mario Monti, tranne la Cgil.
Monti ha chiarito che giovedì non ci sarà il tema dell’articolo 18 sul tavolo delle trattative con i sindacati e le imprese e ciò per togliere tensione al vertice, anche perché sul punto è chiaro che vale l’intesa raggiunta ieri sera, con buona pace di Susanna Camusso e la Cgil.
Ma il premier dice di più: alla fine non sarà firmato un accordo tra governo e parti sociali, cosa che appartiene alla mentalità consociativa del passato e che scarica i costi sulla collettività. Sarà il Parlamento a votare e decidere.
La proposta del governo prevede di mantenere l’obbligo di reintegro per i licenziamenti individuali solo nel caso di licenziamenti discriminatori, che restano nulli. Per ragioni disciplinari, invece, è lasciata al giudice la facoltà di scegliere tra reintegro per i casi gravi o l’indennità, pari a 27 mensilità.
Infine, per i licenziamenti per ragioni economiche, è prevista un’indennità minima di 15 mensilità e massima di 27, rapportata all’ultimo stipendio.
Niente più stage gratuiti. Il ministro del Welfare, Elsa Fornero, ha detto che dopo la laurea o un master, il lavoratore va pagato, quando entra in azienda e, pertanto, anche lo stage deve essere retribuito. Costerà di più, nell’ordine dell’1,4%, il contratto a tempo determinato, mentre il contratto a tempo indeterminato diventa quello dominante e di riferimento, per quanto più flessibile.
Il maggiore costo del contratto a tempo determinato finanzierà le tutele dei nuovi ammortizzatori sociali, che si basano su un sussidio di disoccupazione di 12 mesi, con i primi sei mesi con importi massimi e nel semestre successivo inferiori del 15%. In ogni caso, l’importo massimo erogabile sarà di 1.119 euro mensili.
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