La rivoluzione della governance di Ubi Banca sta scatenando polemiche tra gli azionisti. Il consiglio di sorveglianza ha modificato due norme dello statuto nel punto in cui si prevedono i criteri per definire lo status di socio e in base al quale si può così votare in assemblea. Stando alla modifica, serviranno d’ora in avanti almeno 250 azioni di Ubi Banca per essere iscritti nel libro soci e in via transitoria, fino alla data del prossimo 19 aprile, in considerazione dello spirito mutualistico che caratterizza l’istituto, è concessa la facoltà ai soci di reintegrare il numero minimo di azioni in possesso, in modo da non essere cancellati dal registro dei soci.
Il problema è che molti di loro hanno venduto le azioni e ne dispongono anche solo una, il minimo richiesto ad oggi per potere votare in assemblea, secondo il principio capitario, ossia di una testa, un voto. E la nuova norma penalizzerebbe, in particolare, gli azionisti bergamaschi, mediamente in possesso di un basso numero di azioni, rispetto ai soci bresciani, più tipicamente spa.
La modifica allo statuto di Ubi Banca è avvenuta senza la necessaria approvazione dell’assemblea, in quanto si è trattato di recepire una norma, anche se non obbligatoria.
Tra le altre modifiche in arrivo – che il comunicato del cds annuncia essere in attesa di un via libera preliminare della Banca d’Italia – ci sono anche il requisito minimo del 5% di capitale per potersi candidare in assemblea, il voto a distanza e la delega fino a quattro voti per il voto in assemblea.
Tali innovazioni della governance sono auspicati dalla Banca d’Italia, perché incoraggiano una governance basata maggiormente sui capitali e non sullo spirito mutualistico, oggi un limite delle banche popolari.