Intesa Sanpaolo e Unicredit valuterebbero l’ipotesi di creare una joint venture per la gestione dei rispettivi crediti problematici, insieme all’americana Kkr. L’indiscrezione rilancia l’ipotesi già allo studio dalla banca piemontese, che vorrebbe creare una “bad bank”, ossia un istituto giuridicamente a parte, a cui fare confluire tutti i crediti dubbi, in modo da ripulire i bilanci e presentarsi con i conti a posto ai test europei della BCE e dell’Eba, rispettivamente l’“asset quality review” e gli stress-test.
Per Intesa, i crediti a rischio ammonterebbero a 55 miliardi di euro, mentre per Unicredit sarebbero circa 50 miliardi. Insieme, fanno il 28% del totale dei “non performing loans” in Italia.
La pratica delle “bad bank” potrebbe essere seguita dagli altri istituti italiani, specie quelli soggetti al monitoraggio della BCE, che in tutto sono 15 su 124.
Si apprende, poi, che la Cdp potrebbe intervenire in queste operazioni, avvalendosi dell’autorizzazione concessa dalla legge di stabilità varata a dicembre dal governo, con cui la controllata del Tesoro può comprare titoli legati ai crediti delle banche verso le piccole e medie imprese, con il fine di sostenere il credito in favore di queste ultime.
Di fatto, si tratterebbe di un’operazione di cartolarizzazione dei crediti, con cui le banche si liberano di quelli a rischio, cedendoli alla Cdp, la quale, a sua volta, li acquisterebbe ai prezzi di mercato o di iscrizione a libro, o superiori, per consentire agli istituti di registrare una plusvalenza contabile.
Resta da verificare, però, se tali operazioni non scarichino sulla Cdp rischi eccessivi, che andrebbero a discapito del contribuente.