Choc per la finanza di Pechino e non solo. Un fondo di investimento, CEQ1, ha annunciato default per il 31 gennaio, giorno in cui non sarà in grado di pagare agli investitori un prodotto giunto in scadenza per 3 miliardi di yuan, pari a 496 milioni di dollari.
Gli effetti di questo crac annunciato potrebbero essere più gravi di quanto si tema, in quanto la Cina è malata da eccesso di credito all’economia. Tra il 2008 e oggi, i finanziamenti concessi dalle banche e dal sistema bancario ombra (“shadow banking”) sono esplosi da 9 mila miliardi a 23 mila miliardi di dollari, passando dal 75% al 200% del pil.
Solo nel 2014, le aziende cinesi dovranno pagare interessi sui debiti per oltre mille miliardi di dollari, quasi il 10% del pil. Adesso, si teme che molte possano fare la fine di CEQ1, ossia che non siano in grado di rispettare le scadenze con gli investitori e questo porti a un crollo della finanza asiatica, che non potrebbe che coinvolgere pure i mercati globali, visto che parliamo della seconda economia del pianeta.
Il default del 31 gennaio è figlio di quella crescita impetuosa della moneta, che è servita in questi ultimi anni ad allontanare il rischio di un collasso finanziario in Cina, com’è avvenuto negli USA nel 2008 con Lehman Brothers.
Nel 2013, l’M2, l’aggregato monetario che include il contante e i depositi a vista e a breve, è cresciuto del 13,6%, ma stando ai nuovi metodi di calcolo, sarebbe aumentato del 20%, una percentuale spropositata, che avrebbe incentivato la corsa dei prezzi immobiliari, cresciuti in un solo anno del 20%. E proprio il mercato immobiliare cinese ha alimentato la bolla del credito.