Il Venezuela sembra sull’orlo di una crisi valutaria molto grave, come dimostra l’asta con cui in settimana la banca centrale venderà ai produttori di beni da importazioni 90 milioni di dollari al tasso di 11,3 bolivar per dollaro, contro quello ufficiale di 6,4. Il paese non ha quasi più riserve di valuta straniera, dopo che il bolivar si è svalutato del 73% contro il biglietto verde nel 2013, ma senza che il tasso ufficiale sia stato variato. Pertanto, il mercato nero del cambio è esploso e lì i dollari si scambiano a un rapporto di uno ogni 64 bolivar, dieci volte il tasso ufficiale.
Un altro mercato nero molto florido in Venezuela è diventato quello delle esportazioni illegali di merci verso la confinante Colombia. Dai tempi di Hugo Chavez e ancora di più sotto la nuova guida del successore Nicolas Maduro, i prezzi dei beni primari sono fissati per legge e nonostante l’inflazione sia schizzata al 56%, sono rimasti fermi, rendendo per nulla conveniente la produzione e la vendita.
Questo fenomeno ha provocato una diffusa scarsità di beni sugli scaffali dei supermercati, calcolata ad ottobre al 22,4%, in netto aumento dal 16,1% del 2012. Ciò significa che manca quasi un bene su quattro, mentre i commercianti si ingegnano nell’esportare tali merci verso la Colombia, dove possono essere venduti a prezzi molto più alti. E’ il caso della benzina, che a Caracas viene venduta a 100 volte meno che Bogotà, con il risultato che nessun distributore ha mai carburante sufficiente a soddisfare la domanda e gli automobilisti restano regolarmente a secco, nonostante il Venezuela sia il quarto produttore di petrolio al mondo.