Bankitalia diventerà una public company, ossia una società dall’azionariato diffuso e polverizzato. Lo ha stabilito il consiglio dei ministri, che ha preso a riferimento il testo esitato dai tre esperti nominati dal Tesoro per la rivalutazione delle quote di Via Nazionale. Bankitalia varrà 7,5 miliardi, il massimo della forchetta 5-7,5 miliardi stimata dal comitato dei tecnici, quando ancora oggi il suo valore ufficiale è di 156 mila euro sin dal 1936, dato da 300 mila quote da 0,52 centesimi l’una. Per questo, le banche azioniste dovranno pagare un’aliquota del 16% a valere sul bilancio 2013, pari complessivamente a oltre un miliardo di introiti immediati per lo stato.
Tuttavia, da questo momento in poi aumenta anche il dividendo distribuito in loro favore ogni anno da Bankitalia e ad oggi fissato nel limite massimo del 10% del capitale (15.600 euro) + il 4% massimo delle riserve (pari a 594,7 milioni nel 2012).
Ma il cdm ha previsto un tetto massimo del 6% del capitale, per cui non potrebbero essere distribuiti più di 450 milioni di utili complessivi all’anno. Inoltre, ciascuna banca potrà avere fino a un massimo del 5% del capitale, per cui coloro che hanno una partecipazione superiore dovranno dismettere e fin quando non lo faranno, tali quote eccedenti non saranno computate ai fini dei diritti di voto.
Potranno entrare nel capitale, sempre nel limite massimo del 5%, anche le assicurazioni e le fondazioni bancarie, così come il capitale di Bankitalia resta aperto agli investitori stranieri, al fine di dare vita a ciò che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, chiama “public company”, ossia una società dal capitale azionario diffuso e polverizzato.
Infine, viene cancellata la norma di fine 2005, voluta dall’allora ministro Giulio Tremonti, che prevedeva la nazionalizzazione di Bankitalia.