Prosegue il braccio di ferro tra Fiat e Veba, il fondo dei sindacati di Chrysler. Questi ultimi hanno ancora il 41,5% della casa automobilistica di Detroit, ma non si riesce a raggiungere un accordo sui sette blocchi da 3,3% ciascuno, che stando all’accordo del 2009, Veba si era impegnata a cedere a cadenza semestrale e ad un prezzo legato alla performance di Chrysler. Ma il sindacato valuta tutta la quota a 5 miliardi di dollari, quando Torino non è disposto ad offrire più di 3 miliardi. Soltanto un anno fa le distanze erano ancora maggiori (4,2 miliardi contro 1,8), ma adesso i sindacati minacciano di quotare il 16,6% a Wall Street, attraverso una IPO, che in teoria dovrebbe mettere alle strette Sergio Marchionne, l’ad del gruppo.
Ma proprio Marchionne si è mostrato pronto a raccogliere la sfida e la settimana scorsa ha presentato alla Sec la documentazione per l’IPO, pur senza assicurare la quotazione. La mossa di Veba, che ha ingaggiato Deutsche Bank come advisor, sembra rischiosa. Se le azioni fossero valutate dal mercato meno o molto meno dei 5 miliardi chiesti a Fiat, la bilancia penderebbe dalla parte di Marchionne. Viceversa, nel caso opposto.
E il manager ha minacciato la messa in discussione degli accordi del 2009, finanche al blocco degli impianti di produzione ad Auburn Hills, se i sindacati si ostineranno a non volere trovare un accordo extra-giudiziale.
Gli analisti spiegano che il caso Renault-Nissan, con due società con quotazioni separate, non rappresenterebbe un buon modello da seguire e restano scettici sulla capacità di Veba di attrarre investitori per un’IPO così bassa. Insomma, il sindacato avrebbe molto da perdere dall’azzardo, mentre Marchionne potrebbe mettere sul piatto dell’intesa la produzione di Alfa Romeo negli USA. Cosa, che ai lavoratori piacerebbe moltissimo.