Sempre più ingarbugliato il futuro di Telecom Italia, alle prese con la presentazione del piano di riassetto, che dovrà essere esitata al cda del 3 ottobre, quando i mercati si attendono che la compagnia tracci una linea definitiva sul suo destino, se non vorrà subire un “downgrade” pericolosissimo, dati i 28,8 miliardi di euro di debiti. Il nodo più importante riguarda la proprietà. Telefonica è il socio più interessato ad espandere la sua partecipazione, arrivando a controllare l’ex monopolista. Ma gli spagnoli non sono graditi dal mercato, perché il loro ruolo di guida in Telecom cozzerebbe con le potenzialità di quest’ultima in Sud America e rischia di comportare la necessità di vendere gli asset in Brasile e Argentina, dove Tim Brasil potrebbe essere ceduto per una cifra consistente, pari anche a 10 miliardi di euro, secondo alcune valutazioni.
La cessione di Tim Brasil sarebbe quasi inevitabile, se fosse Telefonica a salire di peso nella compagnia. Non solo sarebbe necessaria nuova liquidità per impedire un aumento di capitale e per tagliare parte dell’immenso debito societario, ma l’asset non potrebbe essere detenuto, per via delle regole antitrust in Brasile.
Ma nelle ultime ore, dopo il board informale di ieri, si vocifera di un riassetto, in cui Telefonica si appoggerebbe a un partner industriale italiano, nella speranza che o gli azionisti di Telco (Generali, Mediobanca e Intesa) decidano di non vendere e restare nella holding di controllo, o che vendano a un soggetto italiano. Quest’ultimo potrebbe anche godere delle sinergie con la Findim di Marco Fossati, al 5% in Telecom. Sarebbe questa l’opzione preferita anche dal governo Letta, che non vedrebbe di buon occhio che una compagnia ancora a capo della rete sia controllata da un azionista straniero.