La Corte d’Appello di New York ha dato ragione al giudice Thomas Griesa, che lo scorso novembre aveva condannato l’Argentina a pagare quel 7% di obbligazionisti che non avevano accettato la ristrutturazione del debito, secondo gli accordi del 2005 e del 2010. Buenos Aires rischia adesso di dovere sborsare 1,33 miliardi di dollari. Una cifra che in questa fase il paese non avrebbe a disposizione, disponendo a fine maggio riserve in valuta straniera per soli 39 miliardi di dollari. La sentenza, tuttavia, diventerà esecutiva solo dopo il pronunciamento della Corte Suprema USA sulla legittimità degli atti dei ricorrenti, fondi speculativi che non avevano accettato il rimborso al 34% dei Tango-bond, dopo il default da 93 miliardi di dollari del 2001.
In ogni caso, la presidenta Cristina Férnandez de Kirchner ha già fatto sapere da tempo di non avere alcuna intenzione di pagare gli obbligazionisti che non hanno accettato le condizioni della ristrutturazione del debito, semmai essendo disposta a erogare loro quanto già pattuito con il restante 93% dei creditori. Anche perché se dovesse rimborsare un solo centesimo di più, l’Argentina potrebbe vedersi costretta a risarcire i primi, i quali a loro volta hanno già depositato un ricorso. Sarebbe paradossale, infatti, che fossero discriminati proprio coloro che avevano aderito alle condizioni offerte da Buenos Aires negli anni scorsi.
L’Argentina rischia un default tecnico, anche se al momento non si teme un nuovo caso come nel 2001, anche perché il paese ha oggi un debito pubblico pari al 28% del pil. Gli stessi CDS, i titoli assicurativi contro il rischio default, sono scesi a 2.400 punti, così come i titoli a 20 anni (Argentina 7,82% 2033) oggi rendono intorno quota 85, quando a marzo erano scesi a 70 punti base. Il mercato non crederebbe a un nuovo fallimento.