Ieri, il Tesoro ha emesso titoli di stato a sei mesi per un controvalore di 8 miliardi di euro. Come nelle attese, i rendimenti sono letteralmente raddoppiati rispetto all’asta precedente, passando dallo 0,538% all’1,052%. Si è superata così nuovamente la soglia dell’1% e si è trattato anche del dato più alto dal mese di febbraio. La domanda è stata pari a 10,9 miliardi e per quanto buona, il rapporto di copertura si è mostrato in discesa dall’1,58 di maggio all’1,36. Il dato non ha impressionato gli investitori, visto che sul mercato secondario, all’apertura di ieri i rendimenti dei titoli con scadenza residua a sei mesi si attestavano all’1,155%. E anche il giorno precedente si era registrato un raddoppio dei rendimenti all’asta dei CTz, passati dall’1,29% al 2,403%.
L’impennata dei tassi è da addebitarsi al clima meno favorevole sui mercati finanziari, dovuto al timore che il QE3 possa essere presto allentato da parte della Federal Reserve e che in Cina si sia dato vita a un “credit crunch”.
In effetti, lo stesso dato di maggio è da considerarsi un pò eccessivamente basso, essendosi registrati in quelle sedute record minimi assoluti per i rendimenti dei titoli a breve scadenza e per i biennali.
Ieri, tutto sommato, lo spread è rientrato sotto i 300 punti base per la scadenza decennale, con il BTp a dieci anni che rendeva in zona 4,75%, in discesa dal 4,82% di due giorni fa. Certo, fa impressione pensare che soltanto cinque settimane fa circa i decennali rendevano intorno al 3,8%.
La variabilità dei tassi dovrebbe essere una caratteristica da qui fino al prossimo board della BCE, quando si scoprirà se Draghi sarà riuscito a convincere i banchieri centrali ad abbassare ulteriormente i tassi di riferimento, oggi allo 0,50%, e/o ad attuare alcune misure non convenzionali.