Nel suo Bollettino, la BCE ha inserito l’Italia tra i sei paesi virtuosi dell’Eurozona che nel 2012 non hanno sforato il tetto massimo del 3% di deficit sul pil, consentito dal Patto di stabilità. Oltre al nostro paese, si tratta di Germania, Austria, Finlandia, Estonia e Lussemburgo. Ma i complimenti finiscono qui, perché l’Italia è anche tra i cinque stati ad avere un peso del debito pari o superiore al 100% del pil, insieme a Irlanda, Grecia, Portogallo e Belgio. Ed entro la fine dell’anno potrebbe raggiungere il picco massimo del 130% (sebbene dati di altri organismi internazionali vedono tale soglia ampiamente superata). Per questo, avverte l’istituto, non c’è spazio per un allentamento del rigore nei conti pubblici, come pure starebbe avvenendo in questi mesi. Anche perché la crescita italiana è peggiore delle attese e questo dovrebbe riversarsi negativamente sulle entrate.
La BCE si sofferma, poi, anche su un altro dato negativo per l’Italia degli ultimi anni. Dal 1999 ad oggi, la nostra è l’economia dell’unione monetaria che maggiormente ha visto scendere la propria quota di export.
A coronamento anche dei dati negativi per tutta l’Eurozona (pil -0,6% nel 2013 e +1,1% nel 2014), Draghi difende il meccanismo anti-spread messo in piedi lo scorso anno e in questi giorni sotto processo in Germania da parte dei giudici costituzionali di Karlsruhe, sostenendo che l’Omt rientri nel mandato della banca centrale e che i benefici della sua adozione siano visibili a tutti.
Il richiamo di Francoforte all’Italia, affinché non allenti il rigore, rappresenta un avviso di cui il governo Letta non potrà non tenere conto, dopo essere stato sonoramente bocciato dal Financial Times, che lo ha definito un esecutivo in letargo.