Paolo Preti, economista e docente di organizzazione delle piccole e medie imprese all’Università Bocconi di Milano, autore del libro «Il meglio del piccolo» (edizioni Egea), difende il sistema tutto italiano delle piccole e medie imprese, perchè rappresenta la forza dello sviluppo italiano. Ma non basta essere piccoli: la piccola azienda ha molti vantaggi ma anche alcune criticità da affrontare. Lo sviluppo dell’economia italiana è unico: non è necessario essere grandi per avere un’impresa forte, ma allo stesso tempo c’è chi additata questa diversità italiana indicandola come la causa di un lento declino.
Dall’estero ci guardano come inconsueti, poichè siamo diversi da loro, non ci conoscono e ci criticano. Ma il senso di questa diversità non viene capita dall’Italia. Secondo gli stranieri, piccolo è brutto, anzi bruttissimo; eppure è grazie a questo diverso modello che l’Italia ha resistito più di altri alla crisi e forse ne uscirà meglio. Siamo acuusati di non sviluppare a sufficienza i servizi, ma il nostro è un paese prevalentemente manifatturiero. Siamo la quinta potenza del manifatturiero al mondo e la seconda in Europa per l’export. E cosa esportiamo se non manifattura, che è il principale pilastro del nostro modello d’impresa?
Per quanto riguarda la dimensione, è vero abbiamo molte piccole imprese, ma queste sono capaci di durare nel tempo, essendo spesso imprese a proprietà familiare. Purtroppo, c’è chi ritiene queste caratteristiche negative, e si parla di nanismo industriale, familismo amorale, di “uomo solo” al comando e di modello retrogrado poiché il futuro è nei servizi. Ma ogni paese ha il suo modello di sviluppo senza che per forza si uniformi al modello dominante degli altri paesi.
La soluzione è nell’integrazione fra i diversi modelli: l’impresa è nel DNA dell’Italia. Il sistema italiano delle Pmi non è un’invenzione, ma è frutto di un processo di crescita armonico con le caratteristiche del nostro Paese: una forte territorialità con 8.500 comuni e il 70% della popolazione che abita in centri sotto i 10 mila abitanti. In questo contesto l’impresa è ripensata in termini familiari e territoriali, con distretti in una determinata zona per un determinato prodotto. Giuseppe Matarazzo economista della Bocconi spiega che « È un modello che nasce dal territorio».
Il problema non è la dimensione, ma è lo spiccato individualismo degli imprenditori italiani, che preferiscono morire da soli piuttosto che confrontarsi con gli altri. La sfida è allora la «rete», che permette di uscire dall’individualismo pur mantenendo le caratteristiche dell’impresa. In questo senso, è storica la nascita di Rete Imprese Italia. Non la qualità del made in Italy, che passa principalmente dalle piccole aziende, nicchie di eccellenza, ma al contrario di quanto si possa pensare, un’epoca globale come la nostra moltiplica la richiesta di prodotti con elevata specificità. Il futuro italiano resta il piccolo, ma in un’ottica di sinergia. Il meglio dal piccolo, che genera PIL, capacità di export e occupazione.
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