I primi passi del governo Letta riguardano la questione fiscale e dell’economia. Se sta facendo molto discutere il capitolo dell’IMU, con la necessità di reperire 2 miliardi per sospendere il pagamento della rata di giugno, non meno importante è la riforma che il premier ha in mente di imprimere sulla legge Fornero, approvata soltanto un anno fa, ma che già si dimostra inadeguata e, addirittura, controproducente in tema di occupazione. Il punto più controverso riguarda i contratti a tempo determinato, che nell’impostazione del governo Monti possono essere rinnovati solo a distanza di due mesi dalla scadenza del vecchio contratto, se inferiore a sei mesi, e di almeno tre mesi, se il precedente contratto superava i sei mesi. Il governo vorrebbe ridurre i tempi, per agevolare le assunzioni, mentre punta a eliminare il cosiddetto “casualone”, cioè la specificazione per il datore di lavoro delle ragioni per cui non assume a tempo indeterminato. Altra misura possibile è l’eliminazione dell’aumento dell’1,4% dell’aliquota sui contratti a termine.
Si passa, poi, alle pensioni. Letta vorrebbe ammorbidire la rigidità sui tempi di accesso per il trattamento, favorendo l’anticipo dell’età pensionabile di 3-4 anni, in cambio di disincentivi, che si trasformano in incentivi per coloro che restano sul posto di lavoro, pur avendo i requisiti per andare in pensione. Per loro si prospetta la possibilità di non pagare tasse sui contratti part-time, ma l’azienda deve in cambio assumere giovani.
Meno rigidità anche sull’apprendistato. Se la legge Fornero prevede l’obbligo di trasformare tali contratti in assunzioni a tempo indeterminato per almeno il 30% dei casi (50% a partire dal 2015), il governo Letta punta, invece, a sostituire l’obbligo con un sistema di incentivi, sgravando del tutto le assunzioni per i primi tre anni.