Intesa-SanPaolo e Unicredit potrebbero fondersi, per arginare il rischio di Opa ostili dall’estero. La voce è diventata sempre più frequente in questi ultimi giorni, tanto che si hanno già alcuni dettagli della possibile operazione finanziaria, che integrerebbe i primi due gruppi bancari italiani.
Il tutto inizia dalla considerazione che dal momento in cui i mercati dovessero rasserenarsi definitivamente, gli istituti stranieri troverebbero conveniente acquistare le banche italiane sotto-capitalizzate in borsa. E i primi a rischiare sarebbero, appunto, i due colossi, dato che Unicredit oggi vale a Piazza Affari 20 miliardi con un patrimonio netto tangibile di almeno 32 miliardi.
Tuttavia, poiché l’Antitrust imporrebbe al gruppo costituendo di cedere alcuni asset contro l’eccessiva concentrazione sul mercato domestico, pare che Piazza Cordusio sarebbe disposta a vendere a Mediobanca le attività italiane. Quest’ultima, al contrario, è già oggi oggetto di un obbligo dell’authority a cedere le sue partecipazioni in Generali. Questa vendita forzata garantirebbe a Piazzetta Cuccia le risorse necessarie per affrontare l’altra operazione con Unicredit.
L’intera operazione sarebbe avallata e caldeggiata da Giovanni Bazoli, a capo del consiglio di sorveglianza di Intesa, da sempre favorevole a un ruolo di uomo di sistema per sé. Il banchiere si è già ricandidato a un altro mandato di tre anni per la carica in scadenza a breve, malgrado l’età di 80 anni. A capo del consiglio di gestione, invece, dovrebbe essere nominato Gian-Maria Gros Pietro.
Il rischio di Opa ostili dall’estero, in ogni modo, non sarebbe del tutto evitato, perché è evidente che un qualsivoglia istituto potrebbe lanciare un’offerta sui due istituti, che non potrebbe non essere valutata dalla Banca d’Italia, secondo le consuete norme della legge bancaria e perseguendo il principio dell’efficienza e la validità del piano presentato.