Ieri, con un ritardo di circa trenta minuti sulla tabella di marcia prevista, si è tenuta l’Ipo di Facebook, la seconda al mondo per dimensioni di sempre, dopo quella di Visa. Dopo otto anni, il social network più famoso e di successo al mondo si quota in borsa, nel circuito Nasdaq di Wall Street.
Il fondatore e ad Mark Zuckenberg ha aperto le contrattazioni con il suono della campanella. Da quel momento, le azioni sono state emesse al valore massimo della forchetta prevista, ossia quella di 34-38 dollari ciascuna, fino a raggiungere i 45 dollari, essendo stati immediatamente rivenduti dagli acquirenti.
Tuttavia, con il trascorrere delle negoziazioni, il titolo si è adeguato al prezzo massimo indicato nell’Ipo, chiudendo a 38,23 dollari, un risultato più che soddisfacente, anche se non si parla di vero e proprio botto.
Gli investitori non sembrano granché convinti di questo business. Ieri, Facebook ha chiuso la seduta con un valore complessivo di capitalizzazione di 104 miliardi, pressapoco la metà di quanto vale Google. Ma la differenza è che questi viene valutato dal mercato 19 volte i suoi utili, mentre Facebook vale in borsa oltre cento volte i suoi profitti, che nell’esercizio 2011 hanno chiuso a solo un miliardo di dollari, con un inizio 2012 in calo, su base annua.
Anche mettendo in conto il clima generale negativo di ieri (siamo nel bel mezzo di un’ipotesi di crac della Grecia e negli USA continua a fare scalpore l’affare JP Morgan Chase), diciamo che la partenza è stata positiva, ma non così spettacolare come ci si attendeva. E certamente è meglio così. L’euforia non sarebbe giustificata dai valori di bilancio di Palo Alto.