Due sere fa, il ceo di JP Morgan, Jamie Dimon, dopo la chiusura delle contrattazioni a Wall Street, ha reso note le cifre inviate alla Securities and Exchange Commission, con riguardo a 2,3 miliardi di dollari di perdite, maturate in seguito a operazioni su titoli derivati, nelle ultime sei settimane.
E’ lo stesso Dimon a chiarire che si è trattato di un sistema fallimentare di gestione e valutazione del rischio, che aveva utilizzato un algoritmo basato sui dati di 125 aziende, ma aveva sottostimato il rischio futuro, perdendo la scommessa sul mercato, anche a causa della “sciatteria” della supervisione.
E così, la seconda banca più patrimonializzata negli USA ha condotto operazioni sbagliate su 100 miliardi di credit default swaps, vendendoli, nella previsione di un abbassamento del rischio, mentre è avvenuto l’opposto e i cds sono diventati più cari, determinando le perdite.
Le operazioni sono state effettuate dal Chief Investiment Office, una unità appositamente creata dalla banca, per esternalizzare gli investimenti della sezione “hedging”, ossia quelli che tutelano dal rischio. E questi potrebbero essere effettuati, ammette Dimon, anche quando dovesse entrare in vigore negli USA la “Volcker Rule”, che impedisce a un colosso bancario di fare “hedging” per conto proprio.
Da un punto di vista dei numeri, JP Morgan ha tutta la possibilità di assorbire la perdita, visto che nel solo primo trimestre del 2012 ha generato un utile per 5,4 miliardi di dollari e ricavi per 26,71 miliardi. Tuttavia, i mercati sono in allarme, in quanto si teme un ritorno al rischio derivati, come per la crisi del 2008/2009. E la banca era uscita indenne da questa, riuscendo sempre a chiudere i bilanci in attivo.