Ieri, il differenziale di rendimento tra i nostri titoli di stato decennali e quelli tedeschi è risalito sopra la soglia dei 300 punti base, portando per la prima volta dal 6 marzo scorso il rendimento a 10 anni sopra il 5%. E’ quanto accaduto, per una serie di eventi concomitanti, che hanno determinato un ritorno al realismo dei mercati.
Il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha ammonito la UE a fare di più per risolvere i suoi problemi, perché la crisi del debito, a suo dire, non sarebbe affatto finita. Bernanke ha affermato che l’Europa dovrebbe diventare un’unione fiscale e monetaria come gli USA.
Analoghe le parole del cancelliere tedesco Angela Merkel, che ha avvertito da Berlino che la crisi europea non è finita, mentre il componente tedesco al board della BCE, Joerg Asmussen, invitava a non pensare che Francoforte darà vita ad altre aste triennali a rendimento basso, mentre auspicava una “exit strategy” per l’Eurotower.
Queste dichiarazioni, unite alle difficoltà italiane nel varare la riforma del mercato del lavoro, con la Cgil che ha già proclamato un pacchetto di sciopero di 16 ore complessive, hanno reso evidente ai mercati che la situazione non sia così chiara, come ci si è illusi fino a qualche giorno fa.
Un dato ha raggelato gli investitori, in particolare. Negli USA, a febbraio le vendite di case sono diminuite dello 0,9%, mentre ci si attendeva un aumento dell’1,4%. Se pensiamo che fu proprio il crollo del settore immobiliare americano a determinare con un effetto domino la spaventosa crisi finanziaria e poi economica di tutto l’Occidente, possiamo benissimo comprendere quale sia il motivo di tanta preoccupazione.
In ogni caso, abbiamo compreso ancora una volta che lo spread non sale e non scende sulla base delle chiacchiere romane. Oggi come ieri.