L’International Swaps and Derivates Association non ha avuto dubbi: lo “swap”tra i vecchi titoli greci e quelli di nuova emissione danno titolo a quanti sono in possesso di strumenti assicurativi su questi bond (cds) di chiederne il pagamento. Per l’Isda, quindi, la rinegoziazione del debito equivale di fatto a un’operazione di default.
Pertanto, sarebbero 4.323 i contratti in grado di esigere il pagamento, per un totale netto di 3,2 miliardi. A conti fatti, sembrerebbe un importo alla portata del sistema bancario internazionale, ma va precisato che la cifra complessiva lorda viene stimata intorno ai 70 miliardi.
Il guaio consiste nel fatto che non è detto che poiché la cifra netta risulta bassa, a monte ci sia la capacità del debitore di essere solvente. Infatti, molte banche hanno emesso cds, assicurando sui bond ellenici, ma hanno a loro volta comprato cds, per assicurarsi dal relativo rischio.
Ad esempio, le prime tre banche italiane hanno acquistato cds per complessivi 1,248 miliardi di euro, ma hanno a loro volta garantito sui bond per 1,533 miliardi, per un netto da sborsare pari a 285 milioni.
Il valore di rimborso da computare quale esborso effettivo è quello al netto del valore di recupero. Se, ad esempio, il valore di recupero di un bond è del 25%, significa che il pagamento netto riguarda il 75% del suo valore.
E, intanto, pessime notizie giungono sul fronte del debito di nuova emissione. Esso non è ancora disponibile sul mercato, se non dai prossimi giorni. Tuttavia, sul “grey market” i titoli con scadenza tra il 2023 e il 2042 vengono già quotati scontati tra il 71% e il 79%, per un prezzo compreso tra 21,4 e un massimo di 28,75, in media 24.
Considerando che tale quotazione riguarda un valore nominale, a sua volta risultante dalla decurtazione del 53,5% del valore originario del debito, ciò implica che attualmente sul mercato il debito greco vale intorno al 12-14% del suo valore. Per gli investitori la Grecia è già in default.
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