È stato proposto un suggerimento, quello dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio, passando invece a valorizzare il merito e le capacità dei giovani lavoratori.
Tuttavia quello che chiedono i giovani, al di là di riduzioni di tasse e sgravi alle imprese che assumono, è un piano serio che riesca ad incentivare lo sviluppo e la creazione di opportunità. Un progetto ampio, che riesca a mettere in campo misure immediatamente efficaci per rilanciare il lavoro, significa speranza, autonomia, realizzazione e possibilità di progettare la propria vita. Non solamente per i giovqani.
Serve anche la riduzione dei contratti di lavoro a tempo, oggi troppo appetibili per le imprese perché molto convenienti rispetto a quelli a tempo indeterminato.
Il punto non è l’esaltazione del posto fisso, ma la possibilità che ciò che oggi ha una scadenza, possa diventare stabile. Oggi nel nostro Paese solo il 22 % dei precari viene stabilizzato nel corso dell’anno successivo, con una media gravemente più bassa rispetto a quella dell’Europa, proprio perché alle imprese non conviene assumere.
I dati ISAT non sono confortanti. A novembre 2011, l’occupazione nelle grandi imprese (al netto della stagionalità) al lordo dei dipendenti in cassa integrazione guadagni (CIG) è diminuita dello 0,1 % rispetto a ottobre. Al netto dei dipendenti in CIG, si registra un calo dell’occupazione italiana dello 0,4 %. Nel confronto con novembre 2010, l’occupazione nelle grandi imprese scende dello 0,6 % sia al lordo, sia al netto dei dipendenti in CIG. Si registra anche una diminuzione tendenziale del numero delle ore lavorate per dipendente dell’1,1 %.