La Grecia ha fatto i compiti a casa. Il Parlamento ha approvato il nuovo, ennesimo piano di austerità, che comporta tagli a pensioni, salari pubblici e privati, oltre che la riduzione del numero dei dipendenti del pubblico impiego per 15 mila unità entro l’anno. Le misure valgono 3,3 miliardi, quasi l’1,5% del pil.
Inutile dire che l’ok del Parlamento è stato accompagnato da proteste durissime fuori nelle piazze, non solo ad Atene, ma nelle principali città greche. Le manifestazioni sono sfociate nella violenza e sono scoppiati diversi disordini, con black block che hanno dato alle fiamme ciò che trovavano davanti e stavolta applauditi dalla folla, esasperata dal quinto anno di recessione consecutiva e da tagli continui alla spesa e aumenti di tasse, che stanno portando il Paese verso il collasso.
Ieri sera, sia il ministro delle Finanze, Evangelos Venezilos, sia il premier Lukas Papademos, avevano lanciato due appelli disperati al Parlamento. Il primo aveva sottolineato come la scelta non fosse tra sacrifici e non sacrifici, quanto tra sacrifici e qualcosa di inimmaginabile. Inoltre, il ministro aveva anche parlato di sistema da rifondare, visto che la Grecia non produce praticamente nulla, ma importa tutto.
Simili le parole del premier, che ha parlato di sistema sbagliato in Grecia fino al 2009 e di misure che oggi si rendono più dure, in quanto dovevano essere attuate molto tempo prima.
Non sono mancati i dissensi pure tra la vasta maggioranza di cui dispone l’esecutivo. 43 deputati sono stati espulsi dai rispettivi partiti (socialisti e conservatori), per avere criticato il piano di austerità. La destra radicale del Laos ha ritirato praticamente il suo sostegno alle misure e ieri, nonostante la maggioranza trasversale, le misure sono state approvate da 193 parlamentari su 300. L’Europa di Bruxelles ha ottenuto una vittoria, ma al prezzo di una Grecia sull’orlo di una guerra civile.
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