Quando sembrava essere giunti a una soluzione definitiva per arrivare a un accordo tra governo e creditori da una parte e tra partiti dall’altra, la situazione è tornata in alto mare e stavolta pare di essere vicini alla fine di questa immensa e lunga tragedia greca. Ieri, il governo di Lucas Papademos non è riuscito a raggiungere un’intesa con i partiti che lo sostengono in un esecutivo di unità nazionale, dovendo prendere atto che né i partiti del centro-destra, né i socialisti sono intenzionati a varare nuove misure di austerità.
Bruxelles chiede che vengano tagliate le spese per un altro punto di pil (2 miliardi di euro), che si eliminino le tredicesime anche nel settore privato e che si metta mano seriamente al taglio di 150 mila posti del pubblico impiego, oltre che alla riforma della previdenza complementare.
I partiti ad Atene temono l’esplosione di una ondata di violente proteste, con una situazione sociale già al collasso. Senza il nuovo piano di austerità, tuttavia, la Troika (UE, BCE e FMI) non è intenzionata a rilasciare nuovi aiuti, previsti per 130 miliardi ad ottobre, ma che già sembrano insufficienti, alla luce di una recessione più grave del previsto (mancherebbero all’appello 15 miliardi per raggiungere l’obiettivo di un debito al 120% del pil entro il 2020).
Senza i nuovi aiuti, la Grecia non avrebbe la liquidità sufficiente per ripagare a marzo un bond da 14,4 miliardi, di fatto scatenando il default.
Certamente, le trattative tra governo e partiti politici andranno avanti, ma adesso c’è la quasi certezza che da Atene non ci saranno aperture a nuove misure restrittive in politica fiscale. Il default sembra davvero vicinissimo.