Intesa Sanpaolo ieri ha lanciato un’obbligazione da 1,5 miliardi, riscuotendo una domanda complessiva sui mercati internazionali, pari a 2,7 miliardi. Si tratta della prima emissione di una banca italiana da otto mesi verso gli investitori istituzionali e il fatto che le richieste siano state nettamente superiori all’importo offerto è da salutare certamente in modo positivo.
A ciò deve pure aggiungersi che su 233 investitori che hanno acquistato il bond, solo il 28% di questi era italiano. Segno che all’estero si torna a guardare con un minimo di fiducia all’Italia, malgrado il nostro Paese non sia affatto uscito dalla tempesta finanziaria, come dimostra ancora l’altissimo spread tra i nostri titoli e il benchmark tedesco.
Altro dato positivo è che la domanda è stata assorbita solo per il 12,5% da banche, mentre i fondi hanno rappresentato il 58,5% delle richieste. Un dato, che significa che il bond è stato acquistato soprattutto per scopi di investimento.
Tuttavia, gli aspetti positivi si fermano qui. L’obbligazione di Intesa è stata a scadenza breve, 18 mesi, ma il suo rendimento si è attestato al 4,132%, cioè 295 punti base in più del tasso midswap. In pratica, la banca ha dovuto pagare agli investitori un rendimento di quasi il 3% in più delle concorrenti sul mercato.
Nel 2007, prima della crisi, la stessa Intesa aveva lanciato un bond decennale a soli 18 punti sopra il midswap. E nell’ottobre 2010, sempre la banca aveva emesso un’obbligazione a 8 anni a un rendimento di 143 punti superiore al midswap, mentre esattamente un anno fa, per un bond quinquennale aveva dovuto offrire l’1,75% in più della media sul mercato.
Questi dati dimostrano quanto il rischio Paese pesi concretamente sul portafoglio delle imprese e delle banche italiane, costrette ad accorciare le scadenze e a rifinanziarsi a costi molto maggiori dei competitors stranieri.
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