Il Tesoro ieri ha collocato 7,5 miliardi di euro in BTp a 3 anni, a dieci anni e con scadenza 2020. Complessivamente, la domanda è stata pari a oltre 11 miliardi, quindi, non c’è stato il flop che una settimana fa si era verificato all’asta dei Bund in Germania, ma il costo di rifinanziamento è salito a livelli ormai poco sostenibili nel medio-lungo termine.
Il BTp a tre anni è stato collocato per 3,5 miliardi al rendimento medio del 7,89%, in netta ascesa dal precedente 4,93% di soltanto un mese fa esatto, il 28 agosto. Un’impennata di quasi 300 punti base, che riflette il crollo di credibilità dei nostri bond.
Forte crescita dei rendimenti anche per il decennale, emesso per 2,5 miliardi e con scadenza marzo 2022, che ha esitato un rendimento del 7,56% dal 6,06% dello scorso 28 ottobre.
Infine, il BTp con scadenza settembre 2020 è stato offerto per 1,5 miliardi e il rendimento è cresciuto al 7,28%, contro il 5,47% dell’asta del 13 settembre.
In definitiva, i rendimenti si stanno caratterizzando per una correlazione inversa rispetto alle scadenze. Ormai, come nel caso dei decennali, i tassi all’asta sono persino superiori di quelli riscontrati sul mercato secondario.
Alla divulgazione dei risultati dell’asta, il mercato ha reagito con un restringimento dello spread, segno che gli operatori si attendevano un esito persino peggiore. Eppure, un rendimento vicinissimo ormai all’8% sul comparto a tre anni non può essere considerato una buona notizia. Siamo prossimi al livello di non sostenibilità e qualora l’asta di ieri dovesse essere replicata nei risultati anche per i prossimi collocamenti, si avvicinerebbe il rischio di dovere richiedere aiuti esterni, per l’impossibilità di continuarsi a rifinanziare sul mercato a questi costi.
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