Ieri, il Tesoro ha collocato quasi 8 miliardi di euro in titoli BTp decennali, BTp triennali, BTp a 8 anni off-the run e CcTeu a sei anni. L’esito di tale asta, soprattutto per il segmento decennale, è stato a dir poco allarmante.
A fronte dei 2,97 miliardi di BTp a 10 anni offerti dal Tesoro, la domanda è stata pari a 3,8 miliardi, con un rapporto di copertura in lieve calo all’1,27 dal precedente 1,37 di settembre. Il rendimento è salito al 6,06%, in crescita di circa 20 centesimi e ai massimi dal 1997.
Altri tre miliardi sono stati collocati in BTp a 3 anni, con scadenza luglio 2014. La domanda è stata di 4,1 miliardi, per un rendimento medio lordo del 4,93%, in rialzo di 24 centesimi sull’ultima asta e anch’essi ai massimi negli ultimi dieci anni.
Non meglio per il BTp a 8 anni, con scadenza settembre 2019, non più in corso di emissione, collocato per un importo di 850 milioni di euro, che ha esitato un rendimento del 5,81%.
Infine, è stata la volta anche del CcTeu con scadenza settembre 2017. L’importo offerto era di 1 miliardo e il suo rendimento si è attestato al 5,59%. La domanda è stata sostenuta, in considerazione dell’imminente scadenza di altri certificati del Tesoro per un valore di 15 miliardi.
Dunque, sfondata la soglia del 6% sul decennale. Il mercato primario si sta pericolosamente adeguando al secondario e ci si avvicina ai valori-limite, considerati insostenibili per Paesi come Irlanda e Portogallo, ossia di rendimenti in zona 6,5-7%.
Questo rende necessaria un’azione immediata e decisa sia di risanamento dei conti, non mostrando le consuete divisioni che la politica italiana offre anche sulle scene internazionali, nonchè di rilancio della crescita, con misure di impatto efficaci e credibili. L’Italia non può permettersi di ripiombare agli anni Novanta, con tassi alti e crescita zero.