In questi giorni, è molto frequente sentire parlare sui media di “haircut“, a proposito dei bond greci. Letteralmente significa “taglio dei capelli”, ma altro non è che la decurtazione del valore nominaledi un titolo, in questo caso, di quelli emessi dal governo di Atene.
Questo significa che quando l’investitore-obbligazionista (molto probabilmente, una banca) andrà a riscuotere il titolo alla scadenza, gli verrà decurtata una certa percentuale del valore “facciale” o nominale indicato sul titolo obbligazionario, che al vertice Ecofin dello scorso 21 luglio era stata indicata al 21%.
Secondo tale accordo, quindi, un investitore che avesse in possesso un titolo di stato greco, con scadenza fino al 2020, potrebbe scambiare i suoi titoli con altri di nuova emissione (“bond swap“), ma a più lunga scadenza, dai 17 ai 30 anni e prevedendo fino al 21% di taglio del valore nominale.
Tuttavia, l’aggravarsi della situazione dei conti pubblici di Atene, a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi di deficit per il 2011 e anche per l’anno prossimo, ha spinto le cancellerie europee a prendere in considerazione un taglio ben più sostanzioso, in modo da sgravare la Grecia di una quota maggiore di debito.
L’idea sarebbe di un “haircut” fino al 50-60%.
Le perdite graverebbero sul sistema bancario europeo, che aveva investito in questi titoli dai rendimenti allettanti, ma che oggi sono considerati “tossici” o “spazzatura”. Un’altra forma di perdita per la banca è anche come loro utilizzo in qualità di collaterale. Ammesso, infatti, che ancora questi titoli in mano alle banche possano essere accettati in garanzia da qualcuno (la BCE ha ammonito che non lo farà), il valore coperto da questi sarebbe di gran lunga inferiore, riflettendo obbligazioni più che dimezzate.
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