Il divario economico tra Nord e Sud permane ancora oggi, dopo un secolo e mezzo dall’unificazione d’Italia. A poco sembrano essere servite negli anni le misure prese dallo Stato. Nodo cruciale per lo sviluppo di tutto il Paese, secondo Confindustria, questo ritardo pesa sulla ripresa economica soprattutto per 21 milioni di residenti nel Mezzogiorno, il cui reddito medio annuo è di 17mila euro (-70 % della media europea).
Un aiuto in più potrebbe essere rappresentato dai fondi europei per Pmi e Mezzogiorno. Attraverso il fondo strutturale FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale), ad esempio, l’Unione Europea finanzia infrastrutture e insediamenti produttivi.
Il FESR fa il paio con il Fondo sociale europeo – FSE per l’inserimento nel mondo del lavoro di disoccupati e soggetti appartenenti a categorie svantaggiate.
Il FESR è particolarmente interessante per le piccole e medie imprese del Sud: la scarsità di servizi e infrastrutture rallenta la produttività e dunque il FESR potrebbe essere lo strumento giusto. Ma quest fondi europei potrebbero concorrere seriamente allo sviluppo del Sud?
I numeri offrono una visione chiara: nel periodo 2007-2013 le regioni interessate dall’Obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata) possono contare su 43,6 miliardi di euro, tra fondi diretti e cofinanziamento. Tuttavia, a dicembre 201 erano stati rendicontati pagamenti pari al 9,6 % appena della somma a disposizione (contro una media del resto dell’UE, che raggiunge quasi il doppio!). Il mancato utilizzo dei fondi strutturali non è l’unico problema da superare. Tra il 2000 e il 2006 al Sud sono stati finanziati più di 250mila progetti, di cui un quarto riguardavano le imprese, ma la competitività è rimasta al palo (-20 % rispetto alle imprese del Nord Italia).
Secondo Confindustria il divario potrebbe essere colmato solo se la produttività del lavoro al Mezzogiorno crescesse del 16 % e se il numero degli occupati salisse da 6,5 a 9,8 milioni (+16 %). Per raggiungere questi obiettivi in tempi non troppo lunghi,all’incirca un decennio, il Mezzogiorno dovrebbe crescere del 6 % l’anno. Una crescita del genere non sarebbe impossibile, tenuto conto dei risultati di altri Paesi europei: un milione di posti di lavoro (l’80-90 % nelle Pmi) e finanziamenti a 1,3 milioni di piccole e medie imprese come risultato degli stimoli rappresentati dai fondi europei. Senza contare la costruzione di 1.200 km di linee ferroviarie ad alta velocità e 4.700 km di autostrade, direttici fondamentali per lo sviluppo di determinate aree.
L’utilizzo delle risorse in Italia va a rilento e, come rilevato da Cristina Coppola, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno “si corre il rischio di perdere i fondi europei, visto che l’uso delle risorse ancora va a rilento e da qui a fine anno dobbiamo utilizzare oltre 7 miliardi di euro nel programma 2007-2013”.
La responsabilità non è tanto della presunta scarsa attenzione delle imprese del Sud ma, stando ai dati Censis, alla Pubblica Amministrazione. Per il il 47,9 % degli intervistati in un’indagine a campione, il funzionamento dell’amministrazione sul territorio è inefficiente e per il 44,7 % scarso: il male peggiore del Mezzogiorno risulta essere la pervasività delle logiche clientelari che governano il rapporto tra pubblico e privato, tra istituzioni e società.
I fondi Ue sono un’opportunità sprecata, per farli fruttare devono essere accompagnati da politiche di sviluppo lungimiranti e non metterli a disposizione di una classe politica che non si mostra in grado di gestirli. Dal canto suo, anche il mondo d’impresa deve assumersi le proprie responsabilità: fornendo segnali precisi e obiettivi chiari, elaborando strategie finalizzate a incentivare la crescita, svincolare il mercato dalle logiche clientelari che sviliscono la voglia di investire e premiare il merito di chi ha voglia di mettersi in gioco rispettando le regole e creando sviluppo per tutto il mercato di riferimento.
La necessità di garantire spazio maggiore al mercato e aumentare la concorrenza sono sentite fortemente dagli imprenditori meridionali, come sottolineato ancora da Cristiana Coppola “c’è il desiderio di una buona ordinaria amministrazione”. Solo in questo modo i fondi dell’Unione Europea potranno davvero rappresentare uno strumento per migliorare la qualità del territorio, dai servizi alle infrastrutture. Un requisito fondamentale se vogliamo cogliere i target strategici di crescita di Europa 2020, a partire dalla creazione di più posti di lavoro, e portare il Mezzogiorno in una dimensione europea. E non rimandare i fondi inutilizzati alle casse europee, che li destineranno per aree che sappiano spenderli.
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