Sono ormai passati ben otto anni dall’ormai lontano 2003, quando nella Finanziaria fu deciso il maxi condono fiscale che scatenò molte polemiche e che nelle intenzioni dei suoi sostenitori e promotori avrebbe dovuto essere un toccasana per le casse dello stato. Ad oggi però lo stato deve ancora incassare circa 4,2 miliardi di euro, provenienti da coloro che prima hanno accettato il condono, quindi hanno scelto la rateizzazione e pagato la prima rata, salvo poi interrompere i pagamenti.
Per rendere un’idea della dimensione delle cifre di cui stiamo parlando, basta pensare che 4,2 miliardi di euro corrispondono a circa il 10% dell’ammontare della manovra richiesta a breve dall’Ue per mettere a posto la situazione del nostro debito pubblico. Senza contare che quei fondi avrebbero potuto essere impiegati per la tanto sbandierata diminuzione delle tasse o per dare nuova linfa e slancio alla nostra economia.
La relazione della Corte dei Conti parte da un«dato incontestabile di partenza: il buon esito quantitativo del condono in questione», dato che avrebbe dovuto portare nelle casse statali circa 26 miliardi, ma sottolinea allo stesso modo i 4,2 che mancano all’appello dopo l’incasso dei 20,8 già riscossi. La corte però pone l’accento sulla poca lungimiranza con cui però è stata fatta la legge del condono: versando la prima rata (scegliendo la realizzazione) la controversia risultava estinta anche sotto il profilo penale, dei reati tributari e non tributari connessi. Quindi qualcuno ha deciso in quel momento di modificare «il proprio assetto patrimoniale in modo da rendersi incapienti rispetto alla futura azione esecutiva dell’erario».
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