Ultimamente i prezzi dei prodotti alimentari stanno continuando a crescere. Un bene per cui c’è domanda, se viene offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, ovvero il prodotto è sempre lo stesso indipendentemente da chi lo produce, nel mercato globale viene chiamento commodities.
L’Ucraina è uno dei principali paesi dove si producono granaglie di tutti i tipi, ed è il maggiore esportatori al mondo di orzo. Questo paese ha da poco introdotto delle pesanti limitazioni all’esportazione dei suoi prodotti, ponendo le basi per un’ulteriore impennata dei prezzi dei cereali, negando le forniture a milioni di consumatori in giro per il mondo, tra cui l’Arabia. L’Arabia Saudita, per la mancata fornitura, ha immediatamente avanzato richieste di fornitura ad altri Paesi, tra cui l’Australia. Contemporaneamente i futures legati all’orzo trattati all’Australian Stock Exchange sono cresciuti del 51%. Lo scorso anno, anche la Russia aveva limitato l’ export ed il Canada e il Kazakistan avevano dovuto fare i conti con raccolti distrutti da siccità o inondazioni. Perchè non bastano le limitazioni imposte all’esportazione, ma possono verificarsi condizioni metereologiche avverse a far perdere i raccolti e consegnuentemente a far salire i prezzi.
Sembrerebbe che quest’anno i contadini ucraini mieteranno circa 45,5 milioni di tonnellate di granaglie, il 16% in più dello scorso anno. L’Ucraina ha tuttavia esportato 8,5 milioni di tonnellate di granaglie contro i 21,1 milioni di tonnellate esportati l’anno precedente, stando a dati resi noti da Liza Malyshko, analista e ricercatrice alla UkrAgroConsult di Kiev.
Sembrerebbe sia in atto una specie di partita, tra compratori, esportatori e condizioni metereologiche più o meno favorevoli. Mentre l’Ucraina non esporta, i suoi contadini lavorano 41,6 milioni di ettari coltivati, pari al 69% del territorio nazionale, in grado di fornire dalle patate alle granaglie fino ai girasoli, ma con limitazioni all’export.
Nell’ultimo anno e mezzo, come se non bastassero l condzioni meteo avverse, si sono anche registrati roghi in Russia, quindi tra le limitazioni dell’export da una parte ed i roghi dall’altra ben 2 raccolti vanno persi. Nel frattempo ci sono state alluvioni in Australia, in Canada e nel Sud-Est asiatico, mentre la siccità ha devastato il Kazakistan e l’Argentina. Potremmo completare la panoramica con il mercato cinese, che ha avuto un repentino cambio di abitudini alimentari, passando da una dieta quasi esclusivamente basata sui cereali ad una carnivora, con la conseguenza che i pascoli per il bestiame rosicchiano spazio alle coltivazioni.
Di qui gli aumenti dei prezzi. I futures sui generi alimentari normalmente evitano crisi e permettono alla gente di non morire di fame, se utilizzati nel modo giusto. Ai primi di aprile, il prezzo dei futures sul mais era cresciuto del 15% in soli cinque giorni a causa di queste problematiche. Questa dinamica dei prezzi deriva dalla mancanza di riserve sufficienti a coprire una domanda sempre maggiore. Come diretta e logica conseguenza, il prezzo cresce. I coltivatori statunitensi hanno fiutato la possibilità di business e sono tornati al mais: solo quest’anno sono stati seminati 92 milioni di acri a mais, il più grande incremento di produzione dalla Seconda Guerra Mondiale. Nonostante ciò, il quantitativo che sarà introdotto sul mercato non sarà sufficiente a soddisfare la domanda e rimpolpare le riserve, visto che l’avventura dei biocarburanti prosegue spedita e richiede sempre più mais da trasformare in etanolo, e la domanda dei paesi del mondo lo scorso mese ha portato a un calo di 200 milioni nelle riserve di mais. Andando avanti di questo passo, nemmeno tutti i nuovi acri di piantagione del mondo potranno soddisfare la corsa globale verso il mais.
Una sciagura per un Paese come il Messico, dove l’aumento a dismisura del prezzo del mais è andato a colpire l’elemento fondamentale della dieta nazionale, le tortillas. Il 1 febbraio del 2007, 75 mila messicani scesero in piazza a Città del Messico per protestare contro il costo delle tortillas, quando il prezzo salì fino al 400% in 18 mesi; e le manifestazioni di protesta, continuarono fino alla fine del 2008, quando la crisi finanziaria fece scendere i prezzi a livello globale. Attualmente in Messico non sono tornate le proteste solo perché il governo messicano è intervenuto nel mercato di futures e opzioni sul mais, varando una politica di sussidio verso la popolazione. L’acquisto di quei contratti futures ha permesso di calmierare il prezzo e reso le scorte del paese sufficienti fino al terzo trimestre di quest’anno.
Anche in Italia potremmo sentire aria di business ed estendere le piantagioni di mais, invece non si fa nulla ed i campi non più utilizzati per coltivare e lasciati andare incolti sembrerebbe aumentare tragicamente. cosa finiremo a mangiare?
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